Via la spina, via il dolore.

  • A 7 mesi dall’intervento posso davvero dire che la spina non c’è più. Il dolore costante che accompagnava ogni mio giorno, finalmente sparito, dissolto, morto.
  • Credetemi miei ospiti, questa cosa può cambiare la vita.
  • Si, è vero, sono un ‘amputata. E’ ovvio che preferirei avere il mio piede, essere tutta intera, non è bello sapere che te ne manca un pezzo.
  • Ma la vita senza dolore! ti ripaga ampiamente della perdita. Non ricordo più da quanto tempo non mi sentivo così.
  • Se vado indietro con la memoria, mi vengono in mente giorni in cui sentivo male solo se stavo a lungo in piedi, o se mi stancavo più del consueto, se rimanevo a riposo potevo illudermi di avere una vita quasi normale, ma il prezzo era alto. Poi man mano che gli anni passavano, lentamente il malessere si impadroniva di me, tanto da far parte della mia stessa persona, fino a pensarlo come parte unica con il mio corpo. Ci convivevo, semplicemente.
  • Finchè è arrivata quell’infezione provvidenziale. Ho trascorso i primi due mesi versando tutte le mie lacrime, per il dolore, che credetemi è davvero potente, e perchè mi stavo rassegnando ad una vita a metà.
  • Se la cosa può aiutare qualcuno in condizioni analoghe alle mie, vi dico, non pensateci su troppo. Col senno del poi, ora dico ” lo avessi fatto prima!”. Se c’è un dolore persistente, che non vi lascia mai,e vi è stato detto che non c’è nulla da fare, non pensate che ci si può convivere pur di non affrontare l’amputazione.Non accontentatevi di una vita mediocre se non peggio, non chiudetevi in gabbia con le vostre mani. Capisco che sia difficile, ma credetemi, la protesi vi ridà la vita, dopo un pò ci si fà l’abitudine e diventa un pezzo del proprio corpo che risponde quasi ad ogni comando.
  • Io metto la protesi al mattino, come fosse uno stivale, e la tolgo la sera prima di coricarmi, e mi permette di fare cose che da anni non mi permettevo più. Prima mi alzavo dal letto e come infilavo le scarpe…il dolore. Sapevo che avrei dovuto sopportarlo fino a sera, finito il lavoro, e poi veloce a casa, a togliere le scarpe per non sentirlo più.
  • Ora mi alzo, infilo la protesi, le mie scarpe, e via, felice di poter andare al lavoro che svolgo con più interesse, con più soddisfazione. Alle 18/18.30 finisce la mia giornata lavorativa e mi viene voglia di fare una passeggiata o un giro in bici prima di rincasare. E’ incredibile!
  • Le persone che mi conoscono da anni mi dicono che sembro ringiovanita di 20 anni, che ho il viso più disteso, che esprimo serenità.
  • In effetti mi sento così, anche se può sembrare un’idiozia.
  • Il signor Zambon, tecnico ortopedico della Rizzoli di Genova è il professionista che mi ha fatto la protesi. L’ho incontrato per la prima volta al Santa Corona, presentatomi dal dott. Antonini, dopo la decisione presa insieme, di intervenire con amputazione. Mi aveva prospettato la mia vita con la protesi. Non aveva mentito. E’ molto capace, mi ha messo in condizioni di uscire dall’ospedale camminando, e non è cosa da poco. Un grazie immenso a questo bravissimo tecnico paziente e disponibile, anche quando la burocrazia gli mette il bastone tra le ruote. Questa è un’insormontabile barriera di cui parlerò in momenti in cui sarò meno arrabbiata col sistema, se no rischio di fare un casino incomprensibile.
  • Bene,ora vi ho raccontato come sono riuscita a levarmi la spina dolorosa e posso lasciarvi, aggiungo che se qualcuno si trovasse in condizioni analoghe alle mie, mi contatti pure, sarò lieta di aiutare chiunque, per quanto posso, con chiarificazioni e informazioni che riguardano il settore. Ciao a tutti. Viva la vita.

                        ” Da quando ho imparato a camminare mi piace correre”

                                                                         Friedrich Wilhelm Nietzsche

la parola alla mente arcaica

  •                La fine di febbraio gia preannunciava una primavera imminente. Il pomeriggio era tiepido mentre giocavo nel cortile. Bambini urlavano e si rincorrevano, erano piu grandi di me, così finiva sempre  che rimanevo lasciata in disparte. Attirata dal passaggio della gente sulla strada, mi aggrappai al cancelletto di legno che da essa mi separava e rimasi ad osservare. Indossavo un paio di sandalini di tela a quadretti bianchi e rossi. Vidi in lontananza il nonno. Abitava al di là della via, e ogni giorno, nel tardo pomeriggio, faceva una capatina a salutarmi prima della consueta preparazione della sua cena solitaria.
  • Entusiasta uscii dal giardino per andargli incontro, ma mi fermai subito perchè vidi un enorme camion rosso correre verso di me. Mi voltai in fretta e afferrai il reticolato che cintava il mio giardino. Con le spalle alla strada pensai di non muovermi finchè non fosse passato il ferroso gigante scarlatto, ma non feci nemmeno in tempo a realizzare il pensiero che caddi. La terra sabbiosa che avevo sotto i piedi mi fece scivolare con le gambe sulla strada, e fu in quel momento che il camion passò.
  • Ora è inutile che io mi chieda il perchè e il per come, e chi decise che per me quello doveva essere il momento fatidico, fatto sta che le cose andarono così.
  • Il ricordo piu vivo di quella giornata è l’espressione contrita del nonno, le lacrime che gli rigavano il volto, e le sue forti mani nodose che mi raccolsero, con pietà, con amore. E’ in quel viso e in quelle mani di vecchio triste e addolorato che oggi rivedo il succedersi di quel giorno che ha segnato la mia vita, perchè da quel viso e da quelle mani, in quel momento, trasparì un sentimento immenso, che veniva dal piu profondo dell’anima, che tranciava le parole, che ti avvolgeva come una calda coperta, un sentimento color giallo ocra. 
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